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La prefazione a questa raccolta di scritti, Tommaso Fiore avrebbe dovuto scriverla lui. Egli avrebbe potuto raccontarci di nuovo, allargandola e arricchendola, la storia del figlio del capomastro di Altamura, che va a studiare a Pisa, che a prezzo di una fatica diversa, ma non meno dura di quella dei suo cafoni, diventa un raffinato umanista, ma senza trasformarsi e senza nulla perdere della sua originaria sanguigna robustezza, che non dimentica le sue origini e non si chiude nel culto della scienza conquistata, che risponde al richiamo dell’interventismo democratico e prende la via della trincea. Egli avrebbe potuto ancora, con l’arte di rievocatore che gli conosciamo, dare i colori al quadro entro il quale i suoi scritti si collocano, e dar vita ai personaggi, i cui nomi ricorrono nelle sue pagine e che sono gl’interlocutori, oscuri e illustri, ai quali si dirige il suo discorso. E avrebbe potuto infine, con la sua lucida capacità di analisi di idee e ideologie, presentarci un bilancio critico della sua lunga e ancora attuale esperienza, ripercorrendo le tappe dello svolgersi del suo pensiero, dal combattentismo rivoluzionario al socialismo, sul filo di un amore, espresso senz’ombra di retorica, per quelle cose semplici ed essenziali che si chiamano libertà e giustizia, e che egli voleva tradurre in forme e istituti storicamente concreti nella sua terra, tra i suoi cafoni. Tommaso Fiore non l’ha fatto. Ha preferito che fossero i suoi scritti a parlare e a testimoniare, e che a presentarli fosse un uomo appartenente alla generazione dei suoi figli, legato alla continuità di una tradizione, nella quale Tommaso Fiore e i suoi maggiori e minori amici hanno avuto parte di protagonisti e di maestri.