pp.125 brossura
L’haiku è stato inventato e si è sviluppato per centinaia di anni in Giappone così da essere una poesia completa in diciassette sillabe e da racchiudere un’intera visione della vita in tre versi. L’haiku occidentale non ha da badare alle diciassette sillabe poiché le lingue occidentali non possono adattarsi alla scansione sillabica giapponese.
Tra i grandi poeti contemporanei che hanno composto haiku c’è Jack Kerouac, il padre della Beat Generation, il quale ha scritto in proposito: “Un haiku deve essere molto semplice e libero da tutti i trucchi poetici e creare una piccola immagine e tuttavia essere aereo e aggraziato come una Pastorella di Vivaldi”.
Necessaria questa premessa per addentrarsi nel mondo poetico di Elio Coriano.
All’origine della scrittura del poeta di Martignano c’erano normali poesie. Successiva è stata la volontà di sperimentare la forma degli haiku giapponesi.
In seguito, con naturalezza, la forma dell’haiku è divenuta stretta, Coriano ha cominciato a creare versi liberi: una sorta di forma esplosa dell’haiku che conservava di quest’ultimo la H del titolo. La numerazione si è resa necessaria per imporre una regola, l’unica possibile sulla produzione quotidiana e magmatica di testi.
Oggi Coriano ha composto quasi cinquantamila poesia. Un numero sterminato, gran parte del quale inedito.
“Letture pubbliche” è un altro piccolo tassello che raccoglie testi scritti tra il 1996 e il 2001. In questo corpus lirico emergono le costanti della poesia di Coriano: eliminazione della punteggiatura, della rima, di ogni forma di possibile classicismo. I suoi versi sono liberi da tutto questo. In essi entra la natura con il suo fiato e respiro. Esiste un ritmo inconscio, il ritmo del battito cardiaco, il ritmo che regola la circolazione sanguigna. Questo è il ritmo dei suoi versi.
Un ritmo che poco ha da spartire con l’idea profilata da Kerouac di un haiku in grado di produrre un’immagine aerea che ricordi una Pastorella del Vivaldi.
Qui non c’è spazio per Vivaldi.
Coriano ricorda, più che Kerouac, il Ginsberg che legge ad alta voce i suoi versi-mantra.
Il superamento della forma chiusa dell’haiku nasce da questa sua incapacità di galleggiare nelle costrizioni.
Coriano è un poeta che nutre sospetto verso la mercificazione della letteratura imposta dalle logiche editoriali. Alla pubblicazione di un testo preferisce la lettura pubblica dei suo versi. Le sue performance, nei reading diffusi che hanno animato il Salento in questi ultimi anni, sono impronte graffianti che hanno lasciato un segno.
Ritornano nelle sue liriche alcune immagini-simbolo ossessive: carne, sangue, corpo, deserto, parole, silenzio, guerra, dolore.
Attorno a questi refrain si costruiscono i tasselli della sua denuncia stridente, del suo j’accuse disperato.
“Sul bancone del macellaio succulenti pezzi di carne / solo la carne / il sangue e l’orrore spariti / sul bancone degli occidenti lacerti gustosi / il sangue e l’orrore spariti”. O ancora: “Proiettile vero proiettile di gomma / armi da guerra armi da difesa / fatemi capire la differenza / bombe stupide bombe intelligenti / fatemele sganciare che ho l’arrosto sul fuoco”.
Ha scritto Antonio Errico: “Vorrebbe trasformare il mondo con le parole, Elio Coriano. Come ogni poeta che si acceca per rimanere nel sogno di poter riuscire a trasformare il mondo. Ma possono trasformare il mondo le preghiere? Possono trasformarlo le bestemmie? Può trasformare il mondo una poesia, e qualsiasi cosa fatta dal vapore di parole che abbiano natura diversa da quella dell’imperativo di un potente che comanda avanzate o ritirate? È mai accaduto? Potrà accadere mai?”.
Ciò che in questa sede importa è non tanto dare risposta ai legittimi interrogativi di Errico, ma considerare il titanico tentativo del poeta di tendere verso la risoluzione di tali questioni, di gettare luce sugli enigmi che il mondo pone tramite la parola poetica. Può trasformare il mondo una poesia? Forse no, ma il poeta deve crederci. Ne va di mezzo l’autenticità della sua scrittura. E Coriano è un poeta autentico, un poeta d’azione, non uno di quei poeti dell’ultima ora che intessono diligentemente versi, li racchiudono in una plaquette con prefazione dalla firma altisonante e impettiti si credono arrivati.
Coriano è il poeta dell’Aut Aut, è il poeta senza maestri, è il poeta della scrittura intesa come terremoto viscerale, è il poeta che odia le accademie e urla ad un pubblico stordito i mali della nostra terra.
“Non c’è più tempo / non c’è tempo / ora è tempo masticatore / mentre il futuro affila le cesoie”.
"Gioco col pappagallino, mi becca la penna mentre scrivo; chissà chi è nel giusto! Io che fabbrico parole, cercando di fare idee o lui, che si limita a gorgogliare sazio di semi. C'è sempre una ragione, dobbiamo per forza trovarne una, questo ci hanno insegnato i morti, da sempre. Se oggi fossero vivi sicuramente direbbero altro, penserebbero altro, scriverebbero altro. Adesso l'orologio segna le quattro. Potrebbe essere notte, potrebbe essere pomeriggio, non cambia assolutamente niente. Ho un po' di male agli occhi, troppe visioni sono state tradotte in parole, troppi brividi hanno fatto la stessa fine e la conta delle sabbie non finisce mai." (Elio Coriano).