Fine anni ’60, basso Salento. Gli occhi di un ragazzino guardano il mondo intorno, fotografano, assorbono impressioni, annusano la vita di un paesino nel profondo sud. Diversi decenni dopo quel ragazzino decide di mettere su carta e di raccogliere in un libro quella serie di impressioni. Da adulto capace di discernere le cose, di giudicare quanto vedeva racchiude i suoi ricordi in quello che è Quasi un Romanzo. Quasi, perché nello specifico non è un romanzo, né tanto meno una serie di racconti. E’ una raccolta di rievocazioni quasi dei flashback con le quali Federico Fuortes torna al suo passato a quando era un ragazzino.
L’Italia era in fervore ed eccitazione, tutto si muoveva, ovunque si stava dando vita ad uno svecchiamento generale, tutto e tutti sembravano rinascere. Ovunque fermento, ma non nel paese qui descritto. Qui tutto era fuori dal tempo, in uno spazio proprio. E andando avanti nella lettura, si ha appunto l’impressione di fare un salto in un passato molto distante dal presente, non sembra possibile trattarsi solo degli anni ’60. Federico benché ragazzo lo sapeva bene, sapeva che il mondo non era tutto lì. Era diverso, lui, dagli altri suoi coetanei del paese, lui era il “Signurinu” figlio del Signorotto del paese, e la gente aveva deferenza verso la sua famiglia, e il ragazzo stesso era visto come un privilegiato. Qualcuno lo invidiava qualcuno lo odiava,, qualcun altro capace di sfruttarne la vicinanza, qualcuno era felice anche solo di condividere l’aria che respirava, tanto era il distacco sociale in quell’epoca. E il ragazzino osservava, un po’ stupito, certe situazioni. A volte con ingenuità altre volte le pilotava con malizia.
Aprendo questo libro ci troviamo in una sorta di Amarcord, attraverso cui lo scrittore ci presenta personaggi, piccoli avvenimenti, odori e atteggiamenti dei suoi compaesani e della sua famiglia. Con ironia, semplicità e onestà ci narra degli aneddoti, alcuni molto divertenti, descrivendoci ora la famiglia ora le strane abitudini del paese … abitudini che definire tribali, non sarebbe inesatto. Le situazioni descritte sono divertenti come in un teatrino dell’assurdo assistiamo a uno spettacolo messo in piedi dai personaggi che circondano l’autore. Descrizioni e racconti talmente surreali da mettere in dubbio la realtà delle cose, o quantomeno vien da chiedersi quanto la fantasia e la memoria di un bambino possano aver distorto la realtà. Chi vi scrive per diversi motivi al momento dubita fortemente che la realtà sia stata diversa da quanto descritta, sebbene a tratti talmente insensata da sembrare fittizia.
La presentazione è di Edoardo Winspeare regista di Sangue Vivo, mentre gli episodi narrati sono intervallati da foto d’epoca, che rappresentano personalità affascinanti, fuori dal tempo ma che nel guardarle non sono sicura che allo scrittore provochi solo ricordi felici. Malgrado la delicatezza con cui Fuortes scrive, traspare tra le righe sgomento per quello di cui è stato testimone. Un senso di doppiezza traspare tra le pagine di questo libro. Sebbene Federico Fuortes abbia riportato alla luce un dolcissimo passato infantile, con la stessa gioia che si ha nello spolverare un libro caduto tra le mani e che si credeva perduto, dall’altro lato le pagine traspirano un curioso senso di disagio mescolato alla stessa ingenuità di bambino.
Ha svolto molteplici attività nella sua vita, Federico Fuortes, tra le quali l’impiegato, il fotografo, esperto di elaboratori Apple, pilota, ha anche scritto alcuni articoli a riguardo, immancabile pipa in bocca, si definisce osservatore della vita e dei continenti, ha vissuto questo suo libro come un percorso liberatorio coinciso con il suo ritorno nella terra natìa a cui è legato da un rapporto di odio e amore. Una lettura fluida, spassosa, graffiante che in fondo descrive situazioni e persone che non sono difficili da trovare nella memoria di ogni lettore senza la necessità di dover andare nel più remoto dei paesini.