pp.74, brossura
''Pagine bianche, briciole sparse…'' potrebbe essere il sottotitolo di La strada di casa, breve opera di Sandrina Schito, efficacemente introdotta da un commento di Antonio Errico, che ne individua la chiave di lettura nella recherche di proustiana memoria. Non a caso: è infatti il filo delle sensazioni, delle percezioni interiori, a far scattare nell’autrice il flash del ricordo, a farla risalire all’infanzia e a ricostruire quasi per “istantanee” momenti significativi del suo viaggio esistenziale.
Una domanda apparentemente banale: ''Cosa fai?'' – rivolta da un vecchio compagno di scuola perso di vista da tempo – impone l’attimo cruciale della coscienza. Per saper dire cosa si fa, bisogna sapere chi si è, rendere conto prima di tutto a se stessi della propria identità profonda, quella che dà la direzione al presente e al futuro, ma viene dal passato lontano, a volte dimenticato.
L’affidarsi alla scrittura apre così un discorso intimo, un’occasione di denudamento alla quale la Schito non si sottrae, consapevole che raccontare le emozioni è ricerca di senso.
Passato e presente sembrano fondersi, si riaprono le pagine della nostalgia e degli abbandoni; emergono figure e suoni, i luoghi e le voci ''per chi sa ascoltare'', i disorientamenti e i rimpianti di un percorso di vita a lungo diviso tra due universi. E si aprono brevi ma intensi spazi di riflessione, dove l’occhio adulto sintetizza la propria visione delle cose, rende giustizia al mondo “di prima” e a quello attuale, accogliendoli entrambi con amorevole coraggio e senza ipocrisie.
La straordinaria forza di questo piccolo libro – sorretto da una sensibilità poetica non comune e connotato da una scrittura pulita, priva di qualsiasi artificio – è la sua capacità di trasformare le tessere sparse di un mosaico in una carta d’identità a tutto tondo, e di regalare una sorprendente impressione di trasparenza nel seguire la traccia delle briciole verso ''casa''.