pp.222, formato 15x21
Per la sua rigorosa precisione espressiva e per il mirabile controllo dei mezzi capaci di suscitare la commozione, il romanzo, in numerosi passaggi, è straziante e vale, più di molti proclami e di molte facili denunce, a far comprendere in pieno la tragedia della guerra, di tutte le guerre, dell’idea della guerra in sé, anche se questo principio non può equivalere al pacifismo incondizionato né al rifiuto di prendere le armi per la patria e per la difesa della libertà e della giustizia. La vicenda, che mette il lettore in medias res fin dalla prima pagina, narrata nella forma di un diario, che va dal 2 aprile del 1915 al 1° aprile del 1916, passa attraverso gli snodi centrali dell’attesa delle lettere dal fronte e poi della loro interruzione. In un crescendo di pensieri angosciosi giungono poi, a una distanza tra di loro che mette la madre in un continuo stato di agitazione tra la speranza e il timore, i telegrammi che danno il giovane soldato prima disperso e poi caduto in combattimento.
«I giornali son pieni di esasperate descrizioni dei campi di battaglia. Perché scrivono così? Pare che trascorrano uragani di parole frenetiche sui fogli di carta. Perché parlano così della guerra?
Dicono di carne umana a brandelli, di volti umani mozzi e schiacciati, di velivoli che disseminan l’orrore sul campo avversario. Terribile semenza. Perché l’orrore? È una cosa orrenda dunque la guerra? Non basta il terrore? Non basta il dolore?» La casa senza sole, Michele Saponaro