La politica è anzitutto arte. Il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre più all'invenzione creativa che gli viene chiesta dalla irripetibilità della persona. La politica è, poi, arte nobile. Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile, perché emergente di incoercibili esigenze di progresso, di pace, di libertà. Nobile, perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria. La politica è, infine, arte nobile e difficile. Difficile perché le sue regole non sono assolute e imperiture. Sicché, proprio per evitare i rischi dell'ideologia, vanno rimesse continuamente in discussione. Difficile, perché esige il saper vivere nella conflittualità dei partiti, contemperando il rispetto e la lotta, l'accoglimento e il rifiuto, la convergenza e la divaricazione. Difficile, perché richiede, nei credenti in modo particolare, la presa di coscienza della autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale, e il riconoscimento della sua laicità e della sua mondanità. Difficile, perché significa affermare, pur nell'ambito della comunità cristiana, un pluralismo di opzioni.