Titolo: L’Unità e il Meridione, Nicola Mignogna (1808-1870). La cospirazione antiborbonica, il processo, l’esilio, i Mille pp.300
Non è mai tardi per riappropriarsi del patrimonio storico culturale di un territorio, e le opportunità offerte dagli anniversari quando si prestano a più approfondite riflessioni o a rivisitazioni di fatti e personaggi condotte con taglio scientifico, vanno sempre colte a pieno nel comune intento di portare alla ribalta, illuminare di giusta luce, rendere di pubblico dominio importanti documentazioni parzialmente note o del tutto inedite. Su queste basi diventa più agevole riproporre i protagonisti di una stagione, il Risorgimento, che fu vissuta intensamente anche nel Salento, sebbene di loro si parli poco ed i loro nomi risultino familiari ad un limitato numero di studiosi.
Il Mignogna che conoscevamo era la figura forte di uno dei Mille, che aveva avuto corrispondenza con Mazzini e si era accompagnato a Garibaldi, fino ad assumere la prodittatura in Basilicata, partendo dalle barricate del 1848, dal duro carcere borbonico, dagli entusiasmi del 1860. Si trattava sostanzialmente di un ricalco agiografico, dell’utilizzo di un cliché comune ad altri patrioti che onorano l’Italia. Mi riferisco al libro di Giuseppe Pupino Carbonelli datato 1889, edito per i gloriosi tipi del Morano di Napoli: un’operazione certamente in buona fede, condotta con sentimento, ma non molto di più, non molto oltre il dovere civile di ripercorrere il travagliato percorso umano, per consegnarlo ai posteri, che aveva trasformato il Nostro da tarentino in italiano. Leggerebbero più oggi, i giovani, un libro come quello, traboccante di retorica ed impostato all’antica? E si avvicinerebbe uno storico in cerca di testimonianze concrete ad un testo così?
Eppure sono molti i bagliori che sortiscono dalla sua biografia, a tutt’oggi solo parzialmente acquisita: dalla partecipazione attiva alle sette dei “Figliuoli della Giovane Italia” e dell’“Unità d’Italia” al crescente rifiuto della dinastia borbonica che nascondeva con la maschera del paternalismo un governo assolutistico negando con incosciente superficialità la dilagante miseria del popolo; dal costante anelito alla Costituzione che fiorito nel 1820, si era rinforzato, attraverso gli infausti esiti del ’48, fino a sfociare nel progetto verosimilmente di De Lieto da presentare a Luciano Murat, al suo avvicinamento appunto al murattismo, ben più radicato di quanto si possa credere; dal processo del ’56, il “Mignogna case” come lo definivano i giornali londinesi, che fece per la prima volta del presunto colpevole un eroe popolare, alla fervente attività di cospiratore, secondo l’opinione di Francesco De Sanctis che lo preferiva al teorico, all’idealista; dall’intesa con Pisacane, alla convergenza su Garibaldi. Uno sterminato campo di indagine e di ricerca, nel quale non è facile muoversi e districarsi.
Nasce allora proprio dall’esigenza di attualizzare una personalità complessa come quella di Nicola Mignogna il lavoro di Valerio Lisi, che scava a fondo con metodo ed esperienza, che presenta i fatti con estrema obiettività, che fa emergere la complessità della storia in un momento cruciale come il Risorgimento. Non si tratta, e non potrebbe essere altrimenti, di una nuova biografia del tarentino, come non lo fu, per le ragioni che ho esposto, quella di Pupino Carbonelli, ma di un corposo contributo ad un futuro definitivo bilancio. Ci sono i documenti, e non mancano gli elementi utili ad una attendibile successione cronologica: e c’è, in aggiunta, l’onestà dello storico vero, che non si sbilancia in mancanza di prove. Mi fa pensare, questa riflessione, alla ormai vecchia questione crociana, se, quando, e in che termini, la biografia possa ambire a diventare storia: non è facile dare una risposta, ma un libro come questo di Lisi sembra conciliare armoniosamente i due generi. L’elenco delle fonti d’archivio basta a dare un’idea della serietà dell’impegno: dal Museo del Risorgimento di Roma al Museo San Martino di Napoli, dall’Archivio di Stato di Napoli a quelli di Torino e di Genova, e all’estero Parigi e Vienna. Quasi tutti i carteggi sono inediti e presentano un formidabile apparato documentario al testo, sempre asciutto ed essenziale: come pretende il lettore dei nostri tempi, attento più ai fatti che alle ipotesi. Le note costituiscono quasi un argomento a sé stante, numerose ed illuminanti come si presentano: una sorta di contraltare, se così si può dire, alla struttura del libro di Pupino Carbonelli e senza alcun intento polemico con l’illustre precedente, che è ormai da tutti considerato un classico.
Uno studio dunque sostanzioso e innovativo, che mette in campo materiali alternativi e farà scaturire ulteriori discussioni. Per esempio l’allargamento dell’indagine a figure apparentemente secondarie che con il Nostro ebbero a che fare, di cui qui non si poteva che fornire qualche informazione di massima, o l’individuazione del preciso ruolo da lui svolto all’interno dell’attività tipografica clandestina che faceva da supporto alla diffusione ed alla penetrazione nel Regno di Napoli delle idee “sovversive”. Il libro ci aiuta a sciogliere, poi, qualcuno dei nodi che caratterizzano il fenomeno del settarismo preunitario, e ci porta almeno a intravedere il legame sottostante che unisce eventi apparentemente slegati fra loro: certamente nei piani del Mignogna doveva esservi una logica ferrea, che non è facile per noi individuare, ma su cui abbiamo ora, finalmente, qualche elemento.
Insomma, e sia detto per concludere, questo libro costituisce un piccolo monumento, ben rifinito e sicuramente più duraturo, di quello che la città di Taranto, il “natìo loco”, non volle – o non poté in circostanze storiche ben diverse – dedicargli per ricordarlo alle nuove generazioni. Una sorta di risarcimento a fronte di quella pubblica commemorazione che arrivò con 19 anni di ritardo nel 1889 e dei due mancati appuntamenti in coincidenza con il centenario della morte (1970) e il bicentenario della nascita (2008). Un doveroso riconoscimento, quello di Valerio Lisi, cui tutti dobbiamo essere grati, nei confronti di un uomo integro per coerenza e per amor di patria, che degnamente rappresenta il Salento nel lungo e frastagliato processo unitario. Un uomo che operò a favore di quel popolo «diviso per sette destini / in sette spezzato da sette confini», come scriveva Berchet, puntando per la vita intera all’avveramento del sogno in cui aveva creduto e per cui aveva combattuto.
VALERIO LISI
Nato a Taranto nel 1965 da genitori leccesi. Diplomato presso il liceo “Archita” di Taranto, nel 1990 si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Pavia. Vive e lavora a Taranto.