pp.136, brossura 17x24, illustrato colori
Se Lecce avesse lu mare, sarebbe una piccola Bare. Gettare benzina sul fuoco della rivalità tra le due città sembra l’ultima cosa da fare, ma chissà come sarà accolta ‘nderra a la lanze e dintorni la notizia che il capoluogo salentino, ancora nel vivo del 1600, era la capitale della Puglia, la secondogenita del Regno. Quasi unapicciola Napoli, sosteneva Jacopo Antonio Ferrari – in diretta, dal vivo, nel secondo Cinquecento – nella sua “Apologia paradossica della città di Lecce”. Eppure, a quel tempo, era ancora di là da venire la fioritura stilistica del Barocco, che avrebbe cambiato il volto dell’abitato. Non era lontana, però, visto che uno degli sviluppi locali della Controriforma avviata dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento (1545-1563) è stata la trasformazione di Lecce in città-chiesa, fortemente voluta dai padri tridentini. Ogni connotato civile, laico, aconfessionale dello spazio urbano doveva lasciare il posto a un interminabile rosario di edifici sacri. E nella costruzione ex novo di questo patrimonio edilizio confessionale, di lì a qualche decennio, prevalse la cifra stilistica che si andava affermando nella capitale partenopea, da secoli modello di ogni sviluppo nel Meridione. A Napoli, dagli anni trenta del XVII secolo, fioriva uno stile inedito, ridondante, plastico: quel Barocco che tuttora caratterizza l’area salentina e che si candida al riconoscimento quale patrimonio dell’umanità tutelato dall’Unesco. Veniva a crearsi una scenografia urbana rinnovata, con lunghi assi viari, nobilitati da cortine di gioielli edilizi con le facciate esuberanti di decorazioni di pietra calcarea (fregi, orpelli, motivi floreali, animali mitologici). Era una narrazione inedita, attraverso un linguaggio originale, che Mario Cazzato riassume in un suo nuovo saggio, una guida alla “Puglia barocca” (136 pag. 18 euro), eccezionalmente illustrata e tutta a colori, per i tipi Capone, editore du pais. Progetta ed elabora contributi editoriali interregionalidalla sua base operativa di Cavallino, Lecce.
Il lavoro dell’architetto salentino è una sintesi storica e sapientemente fotografica del Barocco, un patrimonio artistico identitario, proprio perchè connota la Terra d’Otranto, dal punto di vista tanto architettonico che urbanistico. È in questo territorio che la storiografia tradizionale colloca quasi esclusivamente il fenomeno stilistico del barocco, anche se l’autore lo riscontra in altre localizzazioni dell’intero territorio regionale, al quale si è esteso tuttavia solo nel 1700. Nel secolo precedente, al momento della nascita e prima diffusione del barocco, l’area privilegiata era il Salento, soprattutto il Leccese, col capoluogo davanti a tutti gli altri centri. Accompagnati passo per passo da Mario Cazzato, si potrà agevolmente seguire lo sviluppo di un linguaggio elitario, che si estenderà progressivamente all’intera provincia, allungando significative e non episodiche propaggini nel territorio barese.
Ecco perché si parla di barocco leccese – a giusta ragione secondo l’architetto che dal 1986 firma saggi accurati, anche a quattro mani, sulla civiltà barocca salentina – e non di barocco barese o di barocco foggiano. Tanto più che questo più che quello può considerarsi una derivazione diretta del barocco napoletano. A sua volta, l’affermazione nell’area partenopea di uno stile così caratteristicamente pletorico e ostentato precede di almeno quindici anni l’approdo a Lecce, con le opere di Cesare Penna.
Cazzato individua parametri temporali precisi. Al grande fermento iniziale del decennio 1647-1656 nel leccese e in altre zone pugliesi, segue dal 1656 al 1670 l’autentico boom del barocco leccese, che diventa salentino tra il 1670 e il 1780. Per fare dei nomi, Giuseppe Zimbalo (1620-1710) è la prima figura di riferimento nel movimento architettonico locale e la sua attività incontra quella di Giuseppe Cino (1644-1722) e relativa scuola. La svolta decisiva arriva con Mauro Manieri (1687-1744), che spinge l’ambiente artistico verso una radicale critica dell’esasperato decorativismo barocco di quegli anni. Il terremoto del 1743 fa da spartiacque, con l’affermazione del rococò, che unificherà basso ed alto Salento, diversificando la maniera salentina da quella napoletana, che invece andava influendo sempre di più la Puglia centrale e soprattutto la Capitanata.
È lo stesso autore ad avvertire che la sinteticità della ricostruzione e il taglio prevalentemente storico lasciano necessariamente in ombra non pochi fenomeni degni di un esame più ampio. Per ovviare, nel volume appaiono schede autonome di approfondimento. Anche la bibliografia è ridotta all’essenziale, precisa Cazzato: si segnalano soltanto i contributi innovativi sul piano critico e documentario.