AA.VV.
pp.144, brossura
Questo non è un libro di genere. Troverete pulp, suspense, ironia, politica, trash, allucinazioni.
Questo non è un libro per turisti alla ricerca di taranta e orecchiette con le cime di rape.
Questo libro non descrive una Puglia da cartolina, e nemmeno una Puglia per il giornalismo morboso e ammorbante.
Queste dieci storie rosse, più che nere, raccontano ciò che di tremendo può accadere sotto il sole, prima del mare, nel soffio del vento.
Racconti di Cosimo Argentina, Rossano Astremo, Piero Calò, Carlo D’Amicis, Donpasta, Omar Di Monopoli, Elisabetta Liguori, Piero Manni, Livio Romano, Enzo Verrengia.
Argentina - Il cattivo tenente in salsa tarantina
Astremo - Roast beef
Calò Dolores - La stanza infernale
D’Amicis - Ammazzare i morti
Donpasta - Esercizi di stile su un uomo, una donna, un malvivente, un clandestino
Di Monopoli - Maledetta maciàra
Liguori - Hollywood
Manni
L’inverno del Diciotto
Romano
Rifiuti speciali
Verrengia
Straordinario
Cardiopalma aritmico. Occhi sgranati, una smorfia a rigare il volto. Il primo, poi il secondo, via via, tutti d’un fiato, e zero pause sino all’indice. Non concede tregua Sangu. Racconti noir di Puglia. Adrenalina allo stato puro. Gli a amanti del genere ringrazino Manni che, nell’ultima uscita della collana Punto G, riunisce dieci scrittori di razza. Alcuni sono vecchie conoscenze della casa editrice (dopo l’esordio sancesarino, infatti, qualcuno… volò sul nido di Sironi, Fandango, Isbn); altri narratori per sacro fuoco e mestiere. Una postilla per dire che si tratta di campioni della prosa, alle prese con un genere sdoganato (per buona sorte) dalle nicchie; motivo per cui, la frontiera inclusa nel titolo (Racconti noir di Puglia) va riferita alle ambientazioni, non alla “regionalità” delle penne.
Sangu è pane per i denti di chi, in un noir, non si ferma al gusto del thriller, della suspense, allo stordimento dell’epilogo. I racconti, eterogenei per stili e soggetti, sono congegni alla Rubik, in cui si consiglia di non perdere un solo passaggio per apprezzarne la capillare architettura narrativa e lasciarsi così infettare da quel male di vivere, diffuso ed estremo, che è la realtà. Non serve, infatti, un luminare per agguantare i riferimenti alla cronaca (locale e nazionale), che negli ultimi mesi ha dato prova di superare di gran lunga la finzione. Per questo stupiscono, ma non troppo, le gesta di Il cattivo tenente di Cosimo Argentina, remake in salsa tarantina della sceneggiatura di Abel Ferrara, dove non c’è redenzione, ma il buio totale. Per questo stupiscono, ma non troppo, gli estratti dai diari e dai giornali raccolti da Rossano Astremo in Roast beef, i bilanci di Chicco Micchi e Bacco Namucco descritti da Piero Calò, l’Esercito Industriale di Riserva di donpasta, la caccia alle streghe all’Omar Di Monopoli, “la Flavia, le Flavie”, narrate da Elisabetta Liguori in Hollywood, sulla cui trama sembra allungarsi la mano longa dell’omicidio Basile.
Nel bel mezzo dell’antologia si fa un salto tra l’onirico e il grottesco con i Rifiuti speciali di Livio Romano, storia di ordinaria follia sceneggiata in nosocomio, e L’inverno del Diciotto di Piero Manni, editore della silloge, per una volta dall’altra parte della barricata. Il respiro da racconto sociale riprende con lo “Straordinario” racconto di Enzo Verrengia, cronista e scrittore foggiano, e si ferma con Carlo D’Amicis. La fabula del suo Ammazzare i morti è un lungo discorso diretto, libero da interpunzioni, sofismi, ipocrisie. L’ossimoro del titolo è la quintessenza estratta da una colata di parole, dure come il cemento, di un immigrato clandestino albanese. Alla ghenga di “La Sicura” (che di tranquillo non ha un bel niente) non importa il suo nome. Basta l’epiteto Albania, per distinguerlo dal “barese pancia di maiale”, dal “leccese e tarantino” che in inverno sorvegliano Strada Cucchiara. Nel giro di qualche andirivieni, i quattro si trovano a compiere un sequestro ai danni del “sindaco padrone” che li ha ingaggiati. Al contrario dei loschi figuri a cui, suo malgrado, si accompagna, Albania comprende che se non c’è dignità non c’è vita. E chissà quanti come lui hanno compiuto la stessa scelta “per la liri (libertà)”, ma non è dato sapere. Nessuno piange nessuno senza un nome. Se questo non è noir, cosa altrimenti?