La Poesia dialettale e il Teatro di Vitaliano Bilotta

Di Summa Chiara
Dello stesso autore
Editore/Produttore: CONGEDO EDITORE
EAN: 9788867660339



pp. 408, 21 x 29,7 cm, brossura, illustrato
Poesie e 2 commedie.
Questo libro nasce dall’esigenza di non disperdere e di far conoscere un patrimonio di poesie in dialetto francavillese, di cui, nei primi decenni del Novecento, fu autore, fine e pensoso, il professore Vitaliano Bilotta al tempo della sua attività di docente di lettere e di preside nel Ginnasio Comunale, poi Regio Ginnasio, di Francavilla Fontana. Una lingua, e specialmente una lingua dialettale, vive finché è parlata, ma sopravvive, quando non è più parlata, solo se è scritta. Il problema non si pone per la lingua nazionale che, quando morrà e se morrà, lascerà dietro di sé migliaia se non milioni di opere. Ma si pone per il dialetto che in vita subisce la concorrenza della lingua nazionale e in morte non lascia dietro di sé gran numero di opere, anche se la lingua dialettale - scrive il nostro autore - “non meno perfettamente di altre più nobili, si presta, per efficacia, colorito, leggiadria, movenze ed immagini, a rivestire i vari generi letterari, come, per esempio, lo scherzoso... e il morale... o il patetico”. Il dialetto francavillese certamente non è morto, ma rispetto a quello parlato agli inizi del Novecento ha subito violenze e trasformazioni che ne hanno profondamente alterato i connotati. Violenze e trasformazioni che sono venute dall’influenza dell’Italiano (e anche delle lingue straniere) e che hanno determinato una evoluzione quasi innaturale e un impoverimento dell’identità dialettale a causa di forme espressive, che mal si accordano con il dialetto più antico. E anche i moderni mezzi di comunicazione hanno fatto la loro parte! A ciò si aggiunga che le nuove generazioni in ambiente locale trascurano sempre più il dialetto, non apprezzandone i pregi semantici, nel mentre si rivolgono sempre più alla lingua nazionale, pur non conseguendone ancora la piena padronanza. Il risultato è un linguaggio ibrido, il cosiddetto pulito, che non è più dialetto ma non è ancora italiano, che aspira ad una personalità espressiva ma produce effetti comici, che vorrebbe durare nel tempo ma non può che avere vita effimera. Si aggiunga ancora che il progresso scientifico e tecnologico ha eliminato oggetti di uso quotidiano, strumenti di lavoro, arti e mestieri, categorie di artigiani e lavoratori un tempo indispensabili alla vita della città e tramandanti di padre in figlio i segreti della loro arte; che la modernità e i nuovi stili di vita hanno travolto tradizioni, abitudini, modi di dire. E così, insieme agli oggetti, agli strumenti, alle arti e mestieri, alle categorie artigianali, alle tradizioni, alle abitudini, ai modi di dire sono inevitabilmente scomparsi i termini e le espressioni dialettali corrispondenti. In quanti oggi saprebbero riconoscere l’acqualuru, l’antieri, l’arsola, lu caminaru, lu capasòne, la capišciola, la cargassa, lu cconzalemmi, lu cruècculu, la farzana, lu fíšculu, la fracèra, lu jussu, lu lajanaturu, lu limmu, la mattra, la mènza, lu mmile, lu quarnamientu, la quatara, lu ranfinu, lu ristúcciu, lu scacchiatu, lu šcaràcciu, la šcattalòra, lu šciarabbà, lu šciušcettu, lu scuncignatu, lu scurfigghiòni, lu tapunaru, la tilèdda, lu trúfulu, ...? Alla necessità di documentare una lingua dialettale, che il professore Bilotta definì lingua nobile, si unisce il desiderio di offrire a lettori interessati e raffinati un esempio di poesia dialettale, capace di divertire e commuovere mentre descrive con simpatia e compassione la vita quotidiana di contadini ed artigiani, che conoscono soltanto il peso del lavoro e cominciano ad essere appena sfiorati dal progresso. Un vecchio mondo si sta trasformando con velocità inconsueta, abbattendo le certezze del passato e creando le paure del futuro. E qualcuno già comincia a dire: Stáumu megghiu quannu stáumu pesciu.

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pp. 408, 21 x 29,7 cm, brossura, illustrato
Poesie e 2 commedie.
Questo libro nasce dall’esigenza di non disperdere e di far conoscere un patrimonio di poesie in dialetto francavillese, di cui, nei primi decenni del Novecento, fu autore, fine e pensoso, il professore Vitaliano Bilotta al tempo della sua attività di docente di lettere e di preside nel Ginnasio Comunale, poi Regio Ginnasio, di Francavilla Fontana. Una lingua, e specialmente una lingua dialettale, vive finché è parlata, ma sopravvive, quando non è più parlata, solo se è scritta. Il problema non si pone per la lingua nazionale che, quando morrà e se morrà, lascerà dietro di sé migliaia se non milioni di opere. Ma si pone per il dialetto che in vita subisce la concorrenza della lingua nazionale e in morte non lascia dietro di sé gran numero di opere, anche se la lingua dialettale - scrive il nostro autore - “non meno perfettamente di altre più nobili, si presta, per efficacia, colorito, leggiadria, movenze ed immagini, a rivestire i vari generi letterari, come, per esempio, lo scherzoso... e il morale... o il patetico”. Il dialetto francavillese certamente non è morto, ma rispetto a quello parlato agli inizi del Novecento ha subito violenze e trasformazioni che ne hanno profondamente alterato i connotati. Violenze e trasformazioni che sono venute dall’influenza dell’Italiano (e anche delle lingue straniere) e che hanno determinato una evoluzione quasi innaturale e un impoverimento dell’identità dialettale a causa di forme espressive, che mal si accordano con il dialetto più antico. E anche i moderni mezzi di comunicazione hanno fatto la loro parte! A ciò si aggiunga che le nuove generazioni in ambiente locale trascurano sempre più il dialetto, non apprezzandone i pregi semantici, nel mentre si rivolgono sempre più alla lingua nazionale, pur non conseguendone ancora la piena padronanza. Il risultato è un linguaggio ibrido, il cosiddetto pulito, che non è più dialetto ma non è ancora italiano, che aspira ad una personalità espressiva ma produce effetti comici, che vorrebbe durare nel tempo ma non può che avere vita effimera. Si aggiunga ancora che il progresso scientifico e tecnologico ha eliminato oggetti di uso quotidiano, strumenti di lavoro, arti e mestieri, categorie di artigiani e lavoratori un tempo indispensabili alla vita della città e tramandanti di padre in figlio i segreti della loro arte; che la modernità e i nuovi stili di vita hanno travolto tradizioni, abitudini, modi di dire. E così, insieme agli oggetti, agli strumenti, alle arti e mestieri, alle categorie artigianali, alle tradizioni, alle abitudini, ai modi di dire sono inevitabilmente scomparsi i termini e le espressioni dialettali corrispondenti. In quanti oggi saprebbero riconoscere l’acqualuru, l’antieri, l’arsola, lu caminaru, lu capasòne, la capišciola, la cargassa, lu cconzalemmi, lu cruècculu, la farzana, lu fíšculu, la fracèra, lu jussu, lu lajanaturu, lu limmu, la mattra, la mènza, lu mmile, lu quarnamientu, la quatara, lu ranfinu, lu ristúcciu, lu scacchiatu, lu šcaràcciu, la šcattalòra, lu šciarabbà, lu šciušcettu, lu scuncignatu, lu scurfigghiòni, lu tapunaru, la tilèdda, lu trúfulu, ...? Alla necessità di documentare una lingua dialettale, che il professore Bilotta definì lingua nobile, si unisce il desiderio di offrire a lettori interessati e raffinati un esempio di poesia dialettale, capace di divertire e commuovere mentre descrive con simpatia e compassione la vita quotidiana di contadini ed artigiani, che conoscono soltanto il peso del lavoro e cominciano ad essere appena sfiorati dal progresso. Un vecchio mondo si sta trasformando con velocità inconsueta, abbattendo le certezze del passato e creando le paure del futuro. E qualcuno già comincia a dire: Stáumu megghiu quannu stáumu pesciu.
Dettagli
DatiDescrizione
EAN9788867660339
AutoreDi Summa Chiara
EditoreCONGEDO EDITORE
Data pubblicazione2013/07
Categoria*Teatro Dialettale, *Poesia in Vernacolo
Pagine353
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