pp.336, brossura, con illustrazioni e trascrizioni musicali
Tarantismo e rinascita I riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della tarantella.
Dopo questo libro niente è più come prima nel settore del tarantismo, della “musica che guarisce” (la famosa pizzica-pizzica) e della “danza-scherma” di Torrepaduli. La tradizione popolare salentina è un esempio integro della mentalità antica. Con un percorso comparativo che parte dal megalitismo, attraversa dionisismo, orfismo, gnosticismo e cristianesimo delle origini l’autore mostra come il tarantismo sia un utilizzo dell’antico pensiero ciclico e analogico che pone il momento essenziale della rinascita come fatto terapeutico. All’etnomusicologia si affianca l’estetica musicale che apre i codici simbolici e mitici di questa cultura, superando così le tante inesattezze della pur basilare interpretazione di De Martino.
DAL SAGGIO INTRODUTTIVO DI PAOLO PELLEGRINO. Sono trascorsi oltre cinquant’anni dalla pubblicazione degli studi fondamentali di Schneider sull’origine musicale dei simboli animali e quaranta dall’inchiesta condotta da De Martino sul tarantismo: la domanda su che cosa resti della loro eredità culturale non è sicuramente un interrogativo retorico. Così come non è pleonastico chiedersi quali nuove prospettive di ricerca si aprano, dopo e oltre di loro, su quel groviglio intricato di nodi in cui è, per tanti versi, ancora rinserrato il segreto del tarantismo. Con Tarantismo e rinascita, Pierpaolo De Giorgi riapre l’intero ventaglio degli elementi in gioco nel tarantismo e, attraverso una paziente e puntigliosa ricerca per strade spesso tortuose e inesplorate, raggiunge risultati per tanti versi inediti e convincenti che culminano in uno schema finale ermeneuticamente inteso a sostenere la tesi del tarantismo come rito di rinascita dove crisi, ritmo, melodia, mimica e risoluzione terapeutica si fondono in un nesso inestricabile. Ne consegue un ampio e articolato affresco del tarantismo che, utilizzando l’intera eredità culturale sul problema, approda ad una visione di sintesi in grado di interpretare in modo originale e concettualmente raffinato un fenomeno misterioso e sfuggente, andando oltre i tradizionali termini della questione. La ricchezza dei simboli mitici che si rifrangono nel tarantismo obbliga, infatti, a porsi seriamente un drammatico quesito, che si potrebbe formulare con un’efficace domanda di Hans Blumenberg: il “lavoro sul mito” esaurisce il “lavoro del mito”? E’ innegabile comunque, un dato di fondo: quello che risulta da un’ormai vasta letteratura è un quadro grandioso della memoria mitologica europea, e insieme una scommessa sul suo valore permanente e profetico. Emerge anche l’eccezionale “funzione comunicativa” delle figure che quella memoria custodisce, traendone il suo segreto alimento. Sono convinto che, in questa direzione d’indagine, neanche il tarantismo sia un inutile “relitto” e che anzi in esso sia depositato un prisma che imprigiona i colori della nostra antica identità collettiva.
ALTRE NOTIZIE. Noto in tutta Italia, il saggio Tarantismo e rinascita ha contribuito non poco a mutare l’immagine del tarantismo: ha rovesciato il vecchio significato di “malattia dei poveri o degli ultimi” in autentica “risorsa tradizionale” contro alcune malattie psicosociali. Uno dei meriti di questo volume è il fatto d’aver dato coerenza scientifica a tutta una serie di problemi spesso soltanto supposti, ventilati o timidamente accennati, non soltanto mediante l’analisi continua dei contenuti etnomusicologici ed estetici, ma anche attraverso una sistematica comparazione internazionale. La religione della “taranta”, con la sua “musica che guarisce”, qualora venga affrontata complessivamente e con il necessario metodo comparativo, ci consente di pervenire ad un altro modo di vedere le cose. Attraverso la pratica musicale e coreutica del rito le tarantate e i tarantati riescono ad ottenere una inversione terapeutica della propria malattia psicosociale. Non si tratta però di un semplice sfogo demartiniano e freudiano dell’eros precluso ma di una risorsa terapeutica junghiana, utilizzata per affrontare disagi psichici di diversa natura, ricreando l’equilibrio perduto. La musica utilizzata in Salento è la pizzica-pizzica, una tarantella arcaica e originaria, anzi la tarantella più antica di cui si possa avere notizia. Pertanto l’estetica musicale e l’etnomusicologia sono direttamente e problematicamente coinvolte. A partire da un totemismo megalitico, già teorizzato da Marius Schneider e nel segno di un diffuso e successivo orfismo-dionisismo, ancora osservabile nelle indagini contemporanee, De Giorgi mostra come nel rito venga posta in essere una catarsi che utilizza la rappresentazione sistematica della rinascita. Dopo una morte apparente, segnata dall’immobilità rituale, gli infermi tarantati “rinascono” al suono della pizzica-pizzica impegnandosi in una danza vorticosa, “labirintica”, apparentemente sfrenata. Gli adepti, in trance, si sentono posseduti dal mitico ragno chiamato “taranta” e in una prima fase lo imitano simbolicamente per poi allontanarlo invertendo il gioco. E’ in questione una filosofia diversa: il pensiero analogico-associazionistico della tradizione salentina considera la realtà, le stagioni e la storia stessa come un ciclo: invertendo il “senso di marcia” e rovesciando i parametri negativi si può tornare indietro. Ciò consente anche alla malattia di regredire. Costantemente gli opposti complementari della morte e della vita, del maschile e del femminile, dell’umano e del divino, della malattia e della salute vengono musicalmente congiunti in un tutto armonico, all’interno del quale poter attuare l’inversione catartica e dal quale far rinascere ancora una volta la vita.