pp.194, brossura 14x22
K. O. è il libro di un viaggio che prende la mosse da Rimini per portare il protagonista (K) verso i Paesi baltici (passando per Milano e Berlino), attraverso le suggestioni provenienti da incontri, ambienti, voci e paesaggi per “ritrovarsi” e perdonare/perdonarsi.
Le tappe interiori di questo percorso si fondono così con gli input dell’itinerario geografico, scandito dalla permanenza più o meno lunga a Stoccolma, Helsinki, Tallin, Riga, Vilnius… dove lo accolgono sensazioni e/o personaggi capaci di riportarlo al passato e di fargli rivivere esperienze importanti, spesso dolorose, e momenti chiave della sua infanzia e adolescenza salentina.
Così emergono le figure fondamentali della sua formazione, con il loro bagaglio di positività e di negatività, di gioia e di sofferenza, ora inquietanti ora affettuose, ora presenze protettive ora incubi, ma tutte comunque accolte nella memoria come parte integrante dell’identità e, per questo, “assolte”.
Ne scaturisce una storia intensa, caratterizzata dalla ricostruzione dell’atmosfera paesana di una Novoli contaminata dalla malavita (la cui realtà è così quotidiana da apparire scontata) e dalla grande passione di K per il calcio, l’unica risorsa che gli ha permesso di salvarsi dalle molteplici occasioni di perdersi, infragilito com’è da un contesto familiare che lo ha segnato duramente.
Numerosissimi i personaggi maschili e femminili che popolano la mente di K affacciandosi prepotenti alla sua memoria nella rievocazione di episodi significativi che acquistano la forza dell’attualità nel confronto con i fantasmi e con le angosce che lo hanno reso un giovane uomo dagli occhi di ghiaccio, come un pugile sempre in difesa. In questo scorcio si vive un’umanità contrastante, fatta di tante vite diverse, mille sogni infranti.
E’ nel misurarsi con questa folla che si delinea la personalità di K, autistico e dislessico fin da piccolo per proteggersi dalla violenza, adolescente ribelle che diventa ultrà fascista per contrapporsi al padre che – comunista – picchia figlio e moglie ricadendo nelle stesse prevaricazioni di cui è stato a suo tempo vittima, prima di candidarsi alla rovina finanziaria e personale. K afferma più volte di non saper amare, ma sente di avere una casa (anzi, una kasa) e la riconosce il un baluginio del sole scandinavo o in un riflesso del mare del mare del Nord, richiamando il “suo” sole e il “suo” mare… verso i quali si dirige a ritroso, alla fine del suo viaggio, per ri-tornare incontro a se stesso, ormai pacificato, e per morire con un sorriso.
Questo primo lavoro di Mauro Chefa fa venir voglia di fare la valigia e compiere, un viaggio in solitaria, per strada, senza una meta precisa se non il racconto dei ricordi.