Riprendere tra le mani un diario scolastico di vent’anni prima può rivelarsi un’esperienza multiforme: ma il sentimento preponderante risulterebbe probabilmente la malinconia. Sfogliare le pagine incollate dal tempo, leggere le frasi enfatiche, stentare a riconoscere le grafie dei compagni di classe, osservare magari, nella stessa stanza, altri oggetti (la sciarpa della squadra del cuore, qualche musicassetta) di quel tempo può essere anche l’esperienza che spinge a scrivere una storia: ed è proprio questa la scena con cui si apre il romanzo di Alfredo Capone, E Pasculli segna ancora (Negroamaro, pp. 194, euro 16). Il calcio sarà nel libro un elemento meno presente di quanto possa apparire: è stato ed è invece, insieme allo sport in generale, parte importante della vita dell’autore, medico sociale di squadre salentine di varie discipline, oltre che medico chirurgo e già autore, nel 2009, del romanzo Le spine dei fichi d’India.
È Valentina ad aprire le pagine di un diario e a far scattare i ricordi di quei giorni dell’autunno 1989 in cui cambiarono le sorti non solo del mondo ma, nella narrazione, di una parte della piccola comunità di Martano, nell’entroterra salentino. Per la Valentina militante di sinistra, ultimo anno di liceo, l’affollamento di speranze derivate dalla caduta del Muro durerà lo spazio di qualche minuto: il cupo destino di una comunità del Sud si unirà per contrasto all’alba di una capitale europea, per quella notte la capitale del mondo: «quella notte le stelle su Martano non potevano brillare poiché dovevano andare a illuminare la notte di Berlino». Le ombre che si allungano sulla storia raccontata non oscurano tuttavia del tutto i gesti di ostinata ribellione che, ognuno a suo modo, i giovani protagonisti proveranno a compiere, una ribellione di cui rimarranno solo spenti echi quando, in chiusura, alcuni di essi, divenuti quarantenni, torneranno a incrociare le loro strade. Il Lecce di Pasculli e Barbas, quello che colorava le domeniche al Via del Mare e le partite di calcio di Marco e Luca, diventerà vent’anni dopo quello di Giacomazzi e Chevanton, ma le lancette della vita di Valentina e degli altri personaggi del romanzo rimarranno ferme, inchiodate a quella notte del nove novembre ottantanove.
Fonte: Stefano Savella