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Le due tensioni che danno senso e sostanza alla poesia di Vendola sono una razionale, con la consapevolezza dello scacco esistenziale; l’altra morale, dominante, tirata in gioco la storia a coprire una tradizione antica di “assenza”. Queste due tensioni trovano il loro punto di incontro nella “debolezza”. Cioè l’opposto di quella su cui si impernia tutta la Storia, da sempre e in specie nell’ultimo secolo: “forza”, con le sue varianti, potenza potere prevaricazione. Su una parola il passaggio dall’esistenziale al politico è agevole. Perciò vien naturale leggere queste come poesie “civili”, secondo una vecchia formula, poesia radicata nella storia cioè.
Folco Portinari
In primo luogo la luce.
Poi le parole. Affiorano da una terra originaria, petrosa eppure limpida e sapiente, eroica oltre che capace di consolare. E a questa si lega l’impegno civile, la lotta, ardimentosa e giusta, anche a costo del sangue, che pur finalizzata al bene comune, collettivo, non dimentica il singolo, la sua unicità. Anzi, lo fa risorgere. Come a segnalare l’impossibilità di immaginare masse felici senza partire da singoli felici. Sergio Rubini
Il volume raccoglie le precedenti sillogi di poesie di Nichi Vendola, da Prima della battaglia (1983) a La debolezza (1997) che aveva un’ambizione ideologica inesausta, nel suo srotolare piccoli codici (quasi degli ideogrammi) di libertà, fino a Lamento in morte di Carlo Giuliani, scritto di getto dopo i fatti di Genova del luglio 2001, nato anche come bisogno di contaminazione tra ballata popolare e asprezza e oscurità dell’agire poetico. Un quarto di secolo a cercare e sillabare orizzonti di senso, a intrecciare ghirlande di dolore, a spiare la meccanica delle onde le quali, nell’“Alta marea” della sezione iniziale del libro, tornano a pulire la sabbia dei residui di sillabe e delle scorie di cinismo rimasti sulla battigia: così Vendola vede e spera: il rumore globale non cancellerà mai le voci ed i silenzi.