pp.106, brossura
In 33 divertenti poesie in dialetto, Pasquale Santoro racconta le origini contadine di Taurisano.
La musicalità del vernacolo e la rima rendono gradevole la lettura di questo testo che fa divertire ed al contempo riflettere sui cambiamenti della nostra società.
La traduzione delle poesie in italiano, le brevi introduzioni e le note a piè pagina, facilitano la comprensione dei test; schede esplicative illustrate, molto dettagliate, fanno di questo libro un vero e proprio custode della memoria di usi e costumi della civiltà contadina del dopoguerra salentino.
SANTORO Pasquale, contadino in pensione, nasce il 30.08.1936 a Taurisano (LE), una cittadella salentina situata tra i mari Ionio e Adriatico a circa 24 km dal capo di Leuca.
Interrotta la frequenza della scuola dell’obbligo nel 1946 a causa di problemi di famiglia, consegue la licenza elementare seguendo corsi serali nel 1951.
Vive la sua giovinezza nel dopoguerra nell’Italia meridionale ed è costretto più volte a lasciare il suo paese in cerca di lavoro dapprima in Basilicata e poi all’estero.
Felicemente sposato è padre di 5 figli ai quali ha dedicato gran parte della sua vita.
Incline per natura alla composizione dialettale in rima, è autore di numerose poesie, alcune delle quali raccolte in questo volume “Parole te ristuccia” ed ha partecipato a diversi concorsi nazionali di poesia.
Nel 2008, il suo componimento "Natale allu passatu", presentato all’undicesimo concorso di poesia di Carmiano (LE) organizzato dall’associazione A.C.A.M.S., ha avuto un importante riconoscimento.
Con il componimento "Quannu si fessa statte a casa tua" ha vinto, nel 2009, due concorsi di poesia locali organizzati in occasione di feste patronali.
La sua poetica tocca le argomentazioni più varie ma si sofferma, particolarmente, sulla condizione degli anziani in un mondo che contrappone il benessere materiale all’alienazione, alla perdita dei valori propri della civiltà contadina richiamata nei suoi scritti; civiltà che - lo si voglia o no - è alla base dell’identità di chi abita il Salento.
Radici forti, impregnate di valori e saggezza che il tempo può variare ma non cancellare.
L’anzianità, un tempo sinonimo di rispettabile saggezza, oggi schernita, emarginata, rivendica la sua importanza sociale non tanto per sè quanto per le nuove generazioni che sottraendosi al confronto con essa perdono l’occasione di ritrovare, assieme alla semplicità dell’essere, le proprie radici, la propria forza di vivere, la propria identità.
INTRODUZIONE
Questo libro racconta, con modestia, la ricchezza della semplicità popolare che ha caratterizzato la vita dei nostri padri.
Una vita fatta spesso di stenti e sacrifici ma, al contempo, pregna di quel senso di completezza che solo chi accetta di appartenere alla terra ha.
La terra, arsa o fiorita,
la terra focolaio di tanta,
tanta saggezza.
L’ACQUA TU PUZZU (L’acqua del pozzo)
L’acqua era tirata a mano dal pozzo per mezzo di una carrucola (A: a trozzula) costruita artigianalmente a partirte da un grosso ramo di fico che ha la caratteristica di avere sezione circolare e di essere cavo; ottenuta in tal modo la parte rotante (B) della carrucola bastava fissarla, tramite un perno metallico (C), ad un forca di legno (D: a furcata), a sua volta incastrata in un apposito foro praticato sul davanzale del pozzo (E: u pustale tu puzzu) tramite delle zeppe (F: e spìnule). La fune (G: u nzàrtu) era legata ad un apposito secchio di latta (H: u tràgnu), di sezione quadrata e fondo stondato per agevolarne l’affondamento.
Di solito, di fianco al pozzo, si trovava un vascone in muratura intonacato all’interno per renderlo stagno (I: u pilune) e/o una pilozza per il bucato in pietra leccese (a pila o pileddha).