Edizione pregiata in formato 30 x 30 cm, carta patinata opaca, copertina a dorso quadro a capitelli, risguardi in cartoncino e sovraccoperta a colori plastificata. Testo ITA/ENG
Volume fotografico di Luca De Napoli - Ada Milone
Testi di: Eugenio d'Amico - Pietro Marino
Volume fotografico dedicato all'albero "simbolo" della Puglia con foto di Luca De Napoli ed opere grafico-pittoriche di Ada Milone con testi di Eugenio d'Amico e Pietro Marino.
Sono oltre sessanta milioni gli ulivi di Puglia: un immenso mare verde-argento che offre al sole la sua chioma avida di luce e di calore e allarga le radici contorte e nodose nella terra assetata da cui affiorano gli ordinati, bianchi reticoli dei muretti a secco, macchiati da muschi verde marcio e da licheni marrone e giallo oro.
Gli ulivi marcano il paesaggio pugliese dalle sponde del Fortore che ne segna i confini al nord, all’estrema Leuca dove si mescolano le acque dei due mari, allungandosi dalla Daunia alla Terra di Bari e dalle colline di Brindisi alla Terra di Otranto; una sterminata distesa di alberi che a fine primavera ricoprono il terreno dei candidi fiorellini della “colatura”, come chiamano la perdita di gran parte dei fiori con la quale la pianta raccoglie le forze per iniziare la fruttificazione, e nel tardo autunno riempiono i teli distesi intorno ad ogni pianta con le drupe verdi e brillanti che i contadini strappano ai rami o con quelle rosso-nerastre che cadono spontaneamente a maturazione avvenuta.
Eugenio d'Amico
Leonardo da Vinci, artista e scienziato, segnalò nel Trattato della Pittura quella facoltà straordinaria per cui l’uomo osservando le nuvole vi scorge cavalli e cavalieri in battaglia, e contemplando una macchia d’umido sul muro vi ritrova un volto. La metamorfosi dunque come processo nomade dell’immaginazione. Ovviamente, ai tempi di Leonardo, l’esperienza visiva degli antichi non poteva che trascorrere da una cosa vista ad altra cosa vista e riconoscibile, ad un’altra «figura». Solo in tempi moderni la cultura dell’astrazione supportata da una diversa sensibilità scientifica (la scoperta dei raggi x, del microscopio) avrebbe favorito trasmigrazioni della fantasia in direzioni diverse: quelle della materia in sé, dei colori puri, delle strutture primarie.
Una nuova dimensione di mondi sconosciuti che consentiva scoperte eccitate come quella di Max Ernst intorno al 1914: il grande protagonista dell’arte dada e surrealista - racconta lui stesso - si soffermò un giorno a contemplare le venature e i nodi del pavimento di legno, un parquet rustico, della sua stanza a Colonia. Come riprodurne il fascino? L’artista pensò di premere sulle assi un foglio e soffregarci su con una matita. Nascevano così, con la tecnica del frottage, opere definibili come «astratte», o che traducevano della forma originaria la vibrazione visionaria, l’essenza trascorrente. Tanti fantasmi hanno popolato e popolano da allora le avventure dell’occhio moderno.
Pietro Marino