pp. 255, brossura
Un flusso migratorio di funzionari dell’alfabeto si determina nell’ultimo trentennio del secolo scorso dal nord al sud del paese. Una penetrazione, massiccia di professori delle province padane, promossi ispettori sul campo, di ex-garibaldini fatti provveditori: il tutto sotto il manto di un’invadente massoneria. Suore francesi passano dagli ospedali agli asili e s’impadroniscono dell’istruzione femminile pubblica e privata; istitutrici, direttrici e maestre milanesi affrontano lo scirocco di questo primo lembo d’Oriente per vigilare sulla buona educazione delle civili donzelle del ceto urbano. Un contingente di missionari dell’educazione sovente percepito come estraneo e contro il quale non vi sono solo lettere anonime, ma resistenze attive e passive, entro le maglie di una legislazione indebita per lo stato delle province meridionali; confusa e contraddittoria per gli stessi addetti alla sua sorveglianza. Vi erano tutte le premesse perché l’avvio fosse faticoso, irto di incomprensioni e di reciproche ostilità Strettamente intrecciata alla questione dell’istruzione, in bilico tra la tenuta dell’ordine pubblico e la promozione di coscienze ’aperte’ ai tempi, vi è quella di un sociale non sempre riconducibile alle categorie del ceto intellettuale agrario e urbano, che al tumulto delle questioni sociali poste a fine secolo risponde con paternalismo, municipalismo ed estetismo politico, tono costante di una virtù pubblica avvezza all’arte del rinvio, della divisione e dell’occultamento. Vi è dietro una pratica pedagogica del guadagnar tempo perdendolo, di marca gesuitica. Negli educandati provinciali della Compagnia di Gesù annessi ai ginnasi prima e ai licei dopo, in un’aura di distinta e staccata signorilità si apprende l’arte del governo discreto e prudente della cosa pubblica. Probità, spirito di tolleranza e dominio retorico delle situazioni appaiono doti sufficienti e dispensano dalla comprensione di ciò che essendo tumultuoso non è ancora razionale.