pp.236 brossura ill.colori
Il mito del tarantismo rappresenta l'ultima fatica di Pierpaolo De Giorgi e chiude idealmente il periplo di un intenso lavoro ventennale intorno al tarantismo, interpretato all'insegna di una prospettiva mitica, cioè in una luce che ravviva i colori di una nobile origine, mai interamente passata e rimossa. De Giorgi illustra i risultati della sua ricerca e porta a sistemazione una serie di spunti e di riflessioni critiche interno al lavoro di Ernesto De martino, che non oscurano l'importante valore pioneristico e documentario de La terra del rimorso, ma ne mettono in evidenza aporie e contraddizioni di natura prevalentemente teoretica. De Martino si dibatte tra l'ipotesi di partenza, secondo cui il tarantismo va ricostruito nella sua <<originalità storica>> e nella sua <> e <>, e il <>,in cui si sofferma sul simbolismo dell'oistros (morso del ragno o serpe) e dell'aioresis (altalena, fune). L'etnologo napoletano, spinto da un contraddittorio storicismo in bilico tra Croce e Marx, nega in premessa ogni rapporto genealogico del tarantismo con pratiche e/o antecedenti ma lo concede implicitamente e surrettiziamente nel corso della trattazione, ponendo un'ipoteca non trascurabile sulla correttezzadel metodo seguito.
De Giorgi, che riprende gli studi di Marius Schneider, di Mircea Eliade e di Carl Gustav Jung, mette in luce le orogoni dionisiache del tarantismo e delinea un necessario passaggio dal vecchio approccio demartiniano, fortemente condizionato dal pregiudizio storico e basato sul pensiero magico, ad un'intepretazione nuova basata sul pensiero mitico. In questa prospettiva, ridimensiona il concetto di magia e ricolloca in un ambito razionale il mito, analizzandone i molteplici meccanismi. Come dovrebbe risultare chiaro dal lavoro di ricostruzione critica e di approfondimento che insieme con l'autore ho portato avanti io stesso, emerge con sufficiente chiarezza l'intero spessore gnoseologico e terapeutico del mito e dell'analogia. Questo insieme caleidoscopico di emergenze culturali, dove la musica e la danza, indagate con corretti strumenti etnomusicologici, svelano il proprio ruolo estetico accanto a quello rituale, ci fa comprendere come il Salento non sia la terra del rimorso ma la terra della rinascita (dall'Introduzione di Paolo Pellegrino)