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pp.50  brossura 15x21, illustrato con foto b/n
La memorialistica è un genere letterario molto importante a tutti i livelli, perché, attraverso i ricordi di vita vissuta, aiuta a ricostruire, quanto e più dei documenti scientifici, un determinato periodo storico. Anzi, ancor più dei libri di testo (che sono però imprescindibili), questi resoconti di guerra ci restituiscono la viva e accorata coscienza di un dramma storico di abnorme portata come la Guerra Mondiale.
Ritornato in patria nel 1945, Chetta ha trascorso quattro anni e due mesi in guerra, come ricorda nella sua commossa Premessa. Dopo più di sessanta anni, Chetta, ormai anziano e in pensione, ha deciso di mettere mano a quei suoi diari, per fare di tutte quelle “scartoffie”, come l’autore stesso le definisce, un libro vero e proprio, fermando, nero su bianco, pensieri, emozioni di una esperienza vissuta, di cui altrimenti non sarebbe rimasta nessuna traccia.
La narrazione parte dal giugno 1941, quando Chetta, giovanissimo maestro elementare a Parabita, viene chiamato alle armi, nonostante l’esenzione dal servizio militare di cui lui e molti altri ragazzi della sua generazione godevano. Quindi la partenza per la Grecia, nel marzo del 1942 e nel 1943, da Atene, attraverso la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e l’Austria, ad Erfurt, in Germania. E qui, viene rievocata la terribile esperienza del lager. Il lager IX C di Erfurt era un campo di concentramento che i Tedeschi avevano costruito non solo per rinchiudere prigionieri di guerra, ma anche civili deportati in Germania per lavorare. Pochi ettari, circondati da grossi fili di ferro spinato e, all’interno, sistemati tutti su un lato, letti a castello mentre sull’altro, grandi e lunghi tavoli con sgabelli a sedere. Ogni baracca era fornita di acqua, latrine, docce e lavabi e poteva contenere un centinaio di persone. La lunghissima permanenza nel lager, sia pure con mansioni diverse, dura dall’ottobre 1943 all’agosto 1945.
Chetta unisce alla narrazione alcune cartoline, il suo libretto di lavoro e una cartina dell’Europa Nord Occidentale per meglio capire il tracciato dei suoi spostamenti in quell’Europa devastata dalla guerra. Non si può rimanere impassibili di fronte agli scoppi di gioia di Chetta e dei suoi compagni al momento della liberazione dell’Italia e della resa incondizionata della Germania agli Alleati e, soprattutto, alla notizia del loro imminente ritorno a casa; i balli, i canti, gli scherzi, le battute di spirito e poi, finalmente, l’arrivo a casa, alla stazione di Parabita, dove Chetta riabbraccia la sua fidanzata, Tina, ed insieme, alla volta di Taviano, suo paese d’origine, dove riabbraccia anche i suoi famigliari.
Completa il libro l’elenco dei riconoscimenti militari che Chetta sembra ostentare, anche se non si tratta affatto di vanagloria, ma di legittimo e più che comprensibile orgoglio. L’orgoglio di essere italiano salentino e di avere onorato la propria patria svolgendo una dura missione con fierezza, dignità e coraggio. Quanti ne conosciamo di questi italiani salentini che non sbagliamo a definire “patrioti”? Ne abbiamo, ancora, almeno uno in ogni famiglia. Ma quel che conta è starli ad ascoltare, è che non vada perduta la memoria di quell’eroico sacrificio anche quando i nostri nonni, zii o altri parenti anziani non ci saranno più, per convincerci, ancora una volta, che la guerra non può che portare morte, devastazioni, orrore, segnare nel profondo, e che, soprattutto, non ci sono guerre giuste o sbagliate; la guerra non è di destra o di sinistra e non è più o meno inevitabile o più o meno differibile, ma,in ogni tempo e in ogni parte del mondo, la guerra è sempre e solo la guerra.
Dettagli
DatiDescrizione
EANL00002771
AutoreChetta Biagio
EditoreEDIZIONI IL LABORATORIO
Data pubblicazione2005/07
CategoriaStoria
Categoria*Comuni Salentini
CategoriaLibri con Sconto fino ad esaurimento scorte
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